Secondo lo storico Giacomo Arditi, il toponimo potrebbe derivare da “Vitellio”, il nome di un centurione romano. I romani erano soliti, infatti, ricompensare i soldati valorosi in battaglia con appezzamenti di terreno che finivano per diventare dei veri e propri insediamenti a cui veniva dato il nome del soldato stesso.
C’è una seconda ipotesi. Sempre l’Arditi ritiene che l’etimo possa derivare dal termine latino “Vitiarum”, “vigneto”, che indicava la presenza di questa coltivazione in questo lembo di terra salentina.
Secondo la tradizione, il nome di Vitigliano deriverebbe da un vitello scappato da una mandria e arrivato nel territorio dell’attuale paese insieme con i due pastori che lo inseguivano per riprenderlo. Il racconto popolare trova dei riscontri con lo stemma del paese, che raffigura un vitello con accanto un albero d’ulivo e in alto una stella.
Le origini incerte di Vitigliano sono riconducibili ad un periodo ancora precedente all’epoca romana, più precisamente all’età del ferro. Ne sono testimonianza due importanti costruzioni monumentali: il Menhir e il Cisternale. Due monumenti che oggi sono inglobati nel paese.
Il Menhir
E’ un monolite che presenta 5 rotture. Quando fu restaurato venne ricollocato su una roccia affiorante. Alla sommità del menhir alto 375 cm vi sono dei ferri che in epoca successiva furono i sostegni di una croce di pietra.
Il Cisternale
Il Cisternale è un monumento megalitico semi-ipogeo. La struttura, scavata nel banco di roccia fino ad una profondità compresa tra i 4,30 metri e i 4,45 metri, è lunga 12,30 metri, larga 3,05 metri ed è in grado di contenere oltre 162.000 litri di acqua.
Vi sono diverse ipotesi interpretative rispetto a che cosa servisse. Molti studiosi sono portati a datare il monumento al periodo messapico e che fosse legato alle usanze del culto divino in tale periodo. Lo storico Cosimo de Giorgi ipotizzò una duplice funzione di sepoltura (prima) e di cisterna (dopo), datandola “ad un tempo molto antico e forse anteriore a quello nel quale fiorirono le nostre città messapiche”. Pasquale Maggiulli attribuì la costruzione “all’alba della nostra civiltà, cioè di quella del ferro”. Secondo lo storico di Muro Leccese si trattava del più antico ipogeo della Terra d’Otranto, riutilizzato solo successivamente come cisterna. L’archeologo Adriano Prandi, in tempi un pò più recenti, ritenne la struttura un deposito di acqua di età romana, per la presenza di uno spesso intonaco impermeabile di cocciopesto e per la misura in piede romano (pari a 29,5 cm) dei blocchi di copertura. Invece il Prof. Paul Arthur, medievalista dell’Università del Salento, ha datato il Cisternale al VI secolo d.C.